Chi di noi, al momento di pagare il conto al ristorante, non si è trovato indeciso se lasciare o meno una mancia?
Va subito detto che, a differenza di quello che accade in altri Paesi, da noi non c’è alcun obbligo di lasciarla.
Ma cos’è la mancia e a cosa serve?
E, ancora, le mance vanno tassate?
In questo articolo cercheremo di dare una risposta.
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Cos’è la mancia?
Iniziamo col dire che la mancia non è altro che una piccola somma di denaro che viene lasciata in più rispetto al corrispettivo dovuto per un servizio ricevuto.
Come già detto, la mancia non è mai obbligatoria e, quindi, siamo sempre liberi di decidere se darla o meno.
Non tutti sanno, però, che questa usanza non è nata nel nostro Paese, ma in Francia alcuni secoli fa.
All’epoca la servitù non riceveva denaro per i servizi resi, ma solo vitto, alloggio e un vestito all’anno.
Poiché le maniche del vestito a lungo andare si consumavano, i signori iniziarono a dare piccole somme di denaro ai loro servi così che potessero acquistare nuove maniche (manche).
Con il passare degli anni la servitù è scomparsa, non così l’usanza di dare qualche moneta a chi si occupa di servirci al bar, al ristorante o in albergo.
Le mance vanno tassate: l’orientamento più vecchio.
Va subito detto che secondo un primo orientamento, risalente al 2008 [1], le mance non dovevano essere tassate.
Di conseguenza non andavano neppure inserite nella dichiarazione dei redditi del lavoratore che le aveva ricevute.
Venivano, infatti, considerate donazioni di modico valore.
Ricordiamo che sono donazioni di modico valore tutti quei piccoli gesti di generosità compiuti in favore di terzi, che, per essere validi, non richiedono l’intervento del notaio e neppure un atto scritto.
Se, ad esempio, regalo 5 euro ad un passante o a un conoscente non devo certo rivolgermi a un notaio per poterlo fare.
Allo stesso modo il passante, il parente o il conoscente non devono dichiarare al fisco gli spiccioli che abbiamo donato loro.
Anche le mance, allora, come tutte le donazioni di piccolo valore, non dovevano essere tassate.
Le mance vanno tassate: cosa dice la cassazione?
Secondo la Corte di cassazione, invece, le mance costituiscono reddito da lavoro dipendente e, per questo motivo, devono essere tassate [2].
Per i giudici, infatti, il reddito del lavoratore dipendente è costituito da tutte le somme, nessuna esclusa, che quest’ultimo riceve nel corso del rapporto di lavoro anche da terzi o solo occasionalmente.
Di qui l’obbligo di tassare tutto ciò che arriva nelle tasche del lavoratore, indipendentemente dal fatto che sia il suo datore o un terzo a darglielo.
La cassazione, per motivare la decisione, richiama il testo unico delle imposte sui redditi (TUIR), secondo il quale il reddito del dipendente è formato da tutte le somme percepite sul lavoro da quest’ultimo, comprese quelle ricevute a titolo di liberalità (ad esempio attraverso una donazione) [3].
La legge, allora, ricomprende nel reddito da lavoro dipendente tutto ciò che il lavoratore riesce a racimolare e non solo il c.d. salario.
Così, secondo la cassazione, le mance vanno tassate, poiché rientrano nel reddito del lavoratore, come gli straordinari e qualsiasi altra somma percepita dallo stesso in occasione del rapporto di lavoro.
Le mance vanno tassate: cosa dice la legge?
Fino a pochi anni fa il legislatore non diceva nulla.
Solo con la legge di bilancio del 2023 è stata introdotta una disciplina ad hoc per la tassazione delle mance ricevute da chi lavora negli alberghi (ad esempio i facchini, gli inservienti e i receptionist), nei bar e nei ristoranti (pensiamo ai camerieri e non solo).
Iniziamo subito col dire che questa tassazione non è quella normale che tutti noi ben conosciamo (alle mance, infatti, non si applicano le aliquote progressive dell’irpef).
Si tratta, invece, di un’imposta unica che sostituisce tutte le altre (l’irpef ma anche le tasse regionali e comunali, c.d. addizionali).
Costituisce, certamente, una misura vantaggiosa, che diminuisce il carico fiscale del lavoratore dipendente.
La legge, infatti, ha fissato la tassazione delle mance al 5%.
Ricordiamo, però, che la tassa del 5% si applica solo al 25% del reddito percepito dal lavoratore nell’anno di riferimento.
In altre parole, anche se le mance ricevute dal dipendente superano il 25% del suo reddito, quest’ultimo potrà usufruire della tassazione agevolata (5%) solo entro tale limite (25% del reddito).
Così se un lavoratore ha dichiarato un reddito annuo di 30.000 euro potrà beneficiare della tassazione al 5% solo su 7.500 euro (30.000 euro x 25%).
L’aliquota del 5%, inoltre, si applica solo ai lavoratori del settore privato (alberghi, bar, ristoranti e così via) che abbiano avuto, nell’anno precedente, un reddito non superiore a 50.000 euro.
Occorre, infine, che il lavoratore non vi abbia rinunciato espressamente e per iscritto.
Infatti, l’applicazione di questo regime fiscale è facoltativa.
Così il dipendente, come già detto, può rinunciarci con una dichiarazione fatta al suo datore di lavoro.
In questo caso le mance rientreranno nel reddito imponibile del lavoratore e saranno assoggettate alla normale tassazione irpef.
Le mance, infine, non devono mai essere prese in considerazione per calcolare i contributi previdenziali (Inps e Inail) ed il trattamento di fine rapporto.
Nel caso in cui tutte le condizioni si siano verificate, sarà lo stesso datore di lavoro a trattenere dalle mance ricevute dai dipendenti la tassa del 5% e a versarla allo Stato, attraverso il modello F24, utilizzando i codici tributo indicati dall’agenzia delle entrate [4].
Rimane solo da capire come fare per dividere tra i dipendenti del ristorante, del bar o dell’hotel, tutte le mance ricevute da questi ultimi, il più delle volte in contanti, ma anche mediante i mezzi di pagamento elettronici (carte di credito, bancomat e così via).
Potrebbe essere un’idea quella di prendere in considerazione le ore lavorate dal singolo dipendente e il suo livello di inquadramento professionale.
Il datore di lavoro, infine, dovrà sempre ricordarsi del limite del 25% del reddito del lavoratore, al di sopra del quale non si applica più l’aliquota del 5%, ma quella ordinaria (dal 23% in su).
- Agenzia delle entrate n.3/E del 22 gennaio 2008.
- Cass. civ. n.26510 del 30 settembre 2021.
- Art.51 testo unico delle imposte sui redditi.
- Agenzia delle entrate n.16/E del 17 marzo 2023.