Lavoro

Licenziamento per motivi economici: obbligo di ripescaggio

Prima di procedere al licenziamento per motivi economici, il datore di lavoro deve verificare che all’interno dell’azienda non sia possibile reimpiegare il lavoratore in altre mansioni.

Stiamo parlando del cosiddetto obbligo di ripescaggio, noto anche col termine “repechage”.

Il datore di lavoro, quindi, non può licenziare il dipendente il cui posto di lavoro è stato soppresso, se prima non ha verificato la possibilità di fargli svolgere altre mansioni all’interno dell’azienda.

L’obbligo di ripescaggio può essere adempiuto dall’imprenditore sia assegnando al lavoratore mansioni analoghe a quelle svolte in precedenza, sia assegnandogli mansioni inferiori.

Si noti che è compito del datore di lavoro dimostrare che all’interno dell’azienda non è possibile impiegare il lavoratore in altre attività.

Quindi, solo se il datore di lavoro riesce a fornire questa prova il licenziamento può considerarsi legittimo e quest’ultimo non rischierà di dover pagare un risarcimento al dipendente licenziato.

Il datore di lavoro deve anche informare il dipendente che può essere adibito a mansioni inferiori per evitare di perdere il posto di lavoro e solo dopo aver ricevuto il rifiuto di quest’ultimo potrà procedere al suo licenziamento [1].

Si badi che l’offerta del datore di lavoro deve riguardare posizioni lavorative disponibili in azienda e cioè non occupate da altri lavoratori.

Non si può, infatti, richiedere al datore di lavoro di modificare l’organizzazione interna dell’azienda per evitare il licenziamento del dipendente o, addirittura, di far fuori altri lavoratori.

Nè si può pretendere che il datore di lavoro faccia salti mortali per scovare un posto libero ove piazzare il lavoratore che deve licenziare, oppure che crei dal nulla una nuova postazione lavorativa.

Quando si parla di licenziamento per motivi economici?

Il datore di lavoro deve anche provare che il licenziamento si fonda su ragioni che riguardano l’attività produttiva, l’organizzazione del lavoro e il regolare funzionamento di essa.

Questa almeno è la definizione (piuttosto tecnica) che la legge dà del licenziamento per motivi economici [2].

Dal punto di vista pratico questo tipo di licenziamento viene normalmente utilizzato quando l’azienda si trova in difficoltà e, quindi, é costretta a ridurre i costi per tentare di salvarsi.

Per prima cosa il datore di lavoro taglierà i dipendenti che non ritiene più utili allo svolgimento dell’attività produttiva e che non può reimpiegare diversamente in azienda.

Per capire meglio facciamo qualche esempio.

Si pensi al caso in cui, per ridurre i costi, alcune attività vengono affidate ad una società esterna o ad un professionista, chiudendo così il reparto che se ne occupava.

Ad esempio, la contabilità aziendale, prima seguita da alcuni impiegati dell’azienda, viene affidata ad un commercialista esterno.

Si pensi anche al caso in cui, a seguito della riduzione delle commesse, non sia necessario adibire più lavoratori allo svolgimento di una determinata attività.

Il licenziamento per motivi economici può essere giustificato anche da una diversa organizzazione del lavoro, in modo che alla stessa attività siano addetti meno dipendenti.

Ciò al fine di ottenere una maggiore efficienza o anche solo una maggiore redditività, in sostanza per aumentare i guadagni dell’imprenditore.

Infatti, da tempo si ritiene che la crisi aziendale non costituisca più un presupposto di legittimità del licenziamento per motivi economici, essendo possibile licenziare un lavoratore anche se l’azienda non sta attraversando un momento di crisi [3].

Ciò che conta è che le ragioni indicate dal datore di lavoro per giustificare il licenziamento siano effettive e non pretestuose.

Ad esempio, a fronte di un licenziamento motivato dalla necessità di sopprimere i settori commerciali meno produttivi, il datore di lavoro dovrà dimostrare che il settore al quale il dipendente licenziato era addetto fosse effettivamente meno produttivo di altri.

Si noti, infine, che la scelta del datore di lavoro di sopprimere un posto di lavoro o di chiudere un reparto non è sindacabile dal giudice, salvo che quest’ultimo accerti in concreto l’inesistenza delle ragioni organizzative o produttive dedotte dal datore di lavoro.

Tornando al ripescaggio, si tenga presente che tale obbligo deve essere adempiuto dal datore al momento del licenziamento.

In altre parole, proprio in tale momento, e non in seguito, il datore di lavoro deve verificare se sia possibile, o meno, ricollocare il lavoratore all’interno dell’azienda.

Licenziamento per motivi economici: la decisione della cassazione.

Nel caso esaminato in una recente pronuncia dalla Corte di cassazione [4], una lavoratrice, licenziata per la soppressione del posto di lavoro, dopo qualche giorno dal licenziamento, riceveva dall’azienda una proposta di riassunzione in un posto diverso da quello occupato in precedenza.

Tale offerta veniva rifiutata dalla lavoratrice.

Secondo i giudici di primo grado il datore di lavoro si era comportato correttamente, avendo offerto alla lavoratrice, solo pochi giorni dopo il licenziamento, un nuovo posto di lavoro.

Così facendo, infatti, il datore aveva assolto all’obbligo di ripescaggio su di lui gravante.

La cassazione, nel decidere il caso, ha ritenuto, invece, che la proposta di riassunzione formulata successivamente al licenziamento non esonerava il datore di lavoro dall’obbligo di provare l’impossibilità di ricollocare la lavoratrice al momento del recesso.

Quindi, l’offerta di un nuovo posto di lavoro a pochi giorni dal licenziamento, non rendeva legittimo il licenziamento stesso.

Al contrario, l’offerta del datore di lavoro dimostrava che al momento del recesso era disponibile un posto di lavoro che la lavoratrice poteva occupare.

Licenziamento per motivi economici: conclusioni.

Il datore di lavoro può licenziare il dipendente per motivi economici solo quando non sia possibile individuare all’interno dell’azienda altre mansioni alle quali adibirlo.

È compito del datore di lavoro provare che non è possibile reimpiegare il lavoratore in altre mansioni, anche inferiori, riaspetto a quelle svolte in precedenza da quest’ultimo.

Il licenziamento, allora, sarà legittimo solo se il datore di lavoro riesce a fornire tale prova.

La successiva offerta di ricollocare il lavoratore all’interno dell’azienda, formulata anche solo pochi giorni dopo il licenziamento, non rende legittimo il licenziamento stesso.

Anzi dimostra che al momento del recesso all’interno dell’azienda c’era un posto di lavoro che il dipendente poteva occupare e che, quindi, il licenziamento poteva essere evitato.

  1. Cass. civ. n.160 del 5 gennaio 2017.
  2. Art.3 legge n.604 del 15 luglio 1966.
  3. Cass. civ. n.3908 del 17 febbraio 2020.
  4. Cass. civ. n.1386 del 18 gennaio 2022.