Mia moglie ha appena perso il lavoro.
Io, invece, ho bisogno di qualcuno che mi dia una mano in azienda.
A questo punto se l’assumo, in un solo colpo risolvo il suo problema e il mio.
Mi hanno detto, però, che bisogna stare attenti.
Anche se si può assumere la moglie come dipendente, la cosa è più complicata di quello che sembra.
Cerchiamo di scoprire perché.
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In quali casi si può assumere la moglie come dipendente?
A qualcuno potrà sembrare strano, ma quando la moglie lavora per il marito si presume che lo faccia gratis.
Quindi alla domanda si può assumere la moglie come dipendente, la risposta è sì.
Ma se vogliamo che tutto vada per il meglio, dobbiamo essere in grado di dimostrare che si tratta di un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato.
Insomma, dobbiamo poter provare che ci sono tutti gli elementi tipici della subordinazione.
Non è cosa di poco conto.
Infatti, se non riusciamo a dimostrare che si tratta di un rapporto di lavoro subordinato, nostra moglie rischia di perdere tutti i vantaggi di cui gode un lavoratore subordinato.
Pensiamo all’indennità di malattia, alla maternità, alla disoccupazione, alla pensione e così via.
Anche se il marito ha sempre pagato i contributi all’Inps, l’istituto potrebbe negare alla moglie tutti questi benefici, se accerta, magari a seguito di un’ispezione presso l’azienda, che non ci sono i requisiti propri del rapporto di lavoro subordinato.
Così, se viene provato che si tratta di un altro tipo di rapporto (ad esempio una collaborazione all’interno di un’impresa familiare), alla lavoratrice spetteranno altri diritti (partecipazione agli utili dell’impresa, a una parte dei beni comprati con gli utili stessi e così via), ma non quelli che, invece, spettano a una lavoratrice subordinata [1].
Insomma, la collaboratrice nell’impresa familiare, se chiude il rapporto di lavoro, non prende la disoccupazione e se si ammala o va in vacanza nessuno le paga la malattia o le ferie.
Anche da un punto di vista fiscale, possono esserci delle conseguenze se assumiamo la moglie come dipendente.
Ad esempio, il compenso pagato a quest’ultima non serve per ridurre il reddito sul quale vengono calcolate le tasse che deve pagare il marito.
In altre parole, non possiamo dedurre fiscalmente lo stipendio dato a nostra moglie.
È chiaro che tutti questi problemi si presentano solo se l’Inps o l’agenzia delle entrate fanno dei controlli sull’esistenza o meno di un rapporto di lavoro subordinato.
Diversamente, non ci verrà richiesta alcuna prova, né dovremo giustificarci di fronte a chicchessia.
Quando c’è un rapporto di lavoro subordinato?
Abbiamo già detto che si può assumere la moglie come dipendente purché si tratti di un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato.
Resta solo da capire quando siamo in presenza di questo tipo di rapporto.
Innanzitutto, occorre che ci sia la subordinazione.
Vuol dire che la lavoratrice deve seguire gli ordini del datore di lavoro.
Deve, inoltre, essere sottoposta al suo controllo, che può essere anche continuo o improvviso.
Insomma, il datore di lavoro non deve avvisare in anticipo la dipendente quando vuole controllare se quest’ultima sta facendo bene il suo lavoro.
La lavoratrice può anche essere punita se commette degli errori oppure viola i suoi doveri, secondo le regole previste dal contratto collettivo di settore.
Quindi il marito deve poter applicare delle sanzioni disciplinari nei confronti della moglie, se lei viola i suoi obblighi professionale (ad esempio non esegue gli ordini dati dal datore di lavoro).
Che poi il marito applichi davvero delle sanzioni disciplinari alla moglie, è tutto da vedere.
L’importante, comunque, è che lo possa fare.
La moglie deve anche rispettare l’orario stabilito dal marito e non può allontanarsi dal posto di lavoro senza l’autorizzazione di quest’ultimo.
Insomma, non può fare quello che vuole, altrimenti che rapporto di lavoro subordinato è?
Deve anche essere inserita stabilmente all’interno dell’azienda del coniuge.
Infine, per superare la presunzione di gratuità di cui abbiamo già parlato, la moglie deve ricevere, normalmente ogni mese, una retribuzione fissa, anch’essa stabilita dal marito.
La retribuzione deve essere proporzionata al tipo e alla quantità di lavoro svolto dalla lavoratrice e in linea con i minimi salariali stabiliti dal contratto collettivo di settore.
Allora, se non vogliamo avere problemi con l’Inps non possiamo decidere noi quanti soldi dare ogni mese a nostra moglie per il lavoro da lei svolto, ma dobbiamo per forza tener conto della retribuzione minima stabilita dal contratto collettivo.
Se poi vogliamo darle di più (magari riconoscendole un super minimo in busta paga) nessun problema.
In conclusione, solo se sappiamo di poter provare tutti gli elementi tipici della subordinazione possiamo stare tranquilli.
Nessuno verrà mai a contestarci la natura del rapporto di lavoro che abbiamo instaurato con nostra moglie.
Inutile dire, infine, che sarà più facile dimostrare l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato all’interno di una grossa azienda, anche se gestita dal coniuge, rispetto a una piccola impresa o a uno studio professionale (dove, magari, lavorano solo il marito e la moglie).
Si può assumere la moglie come dipendente: il contratto di lavoro.
Abbiamo capito, allora, che se si fanno le cose per bene si può assumere la moglie come dipendente senza correre troppi rischi.
In ogni caso, possiamo anche comprendere le preoccupazioni dell’Inps.
Infatti, sono molti i falsi rapporti di lavoro subordinato che hanno solo lo scopo di far ottenere alla moglie la pensione, in assenza dei presupposti di legge.
Allora, per non avere problemi con l’Inps è importante seguire tutte le regole anche quando assumiamo nostra moglie.
Innanzitutto, è bene preparare un contratto di assunzione inserendo tutti i dati delle parti (marito e moglie), le mansioni della lavoratrice e il livello di inquadramento, il tipo di rapporto di lavoro (a tempo determinato o indeterminato, a tempo pieno o parziale), la retribuzione mensile e, magari, anche quella annuale (c.d. RAL), il contratto collettivo applicabile, la sede di lavoro e così via.
Dobbiamo, poi, fare le comunicazioni agli uffici del lavoro.
Da un po’ di anni a questa parte è sufficiente fare una comunicazione unica attraverso il sistema informativo per l’invio delle comunicazioni obbligatorie gestito dal ministero del lavoro.
Possiamo registrarci al portale direttamente noi tramite SPID o carta d’identità elettronica oppure farci aiutare da un patronato o da un caf, che è la cosa migliore.
- Art.230 bis codice civile.