Lavoro

Licenziamento per giusta causa e naspi

Chi non ha mai sentito parlare del licenziamento per giusta causa?

Tutti noi sappiamo che è l’atto con il quale il datore di lavoro mette fine unilateralmente al rapporto di lavoro.

Si tratta del provvedimento più grave che un’azienda può prendere nei confronti del lavoratore.

Dipende, infatti, da mancanze molto serie commesse da quest’ultimo, che non consentono la prosecuzione, neppure provvisoria, del rapporto di lavoro [1].

Pensiamo ai casi in cui il dipendente non esegue gli ordini del suo capo, oppure lo minaccia, danneggia i beni dell’azienda o, addirittura, se ne appropria.

Insomma, se la combiniamo grossa rischiamo di perdere il posto di lavoro con conseguenze spesso molto gravi per noi e la nostra famiglia.

Tra queste conseguenze c’è anche la perdita della naspi e cioè della disoccupazione?

In altre parole, se ci pizzicano a rubare in azienda e ci licenziano in tronco l’Inps ci pagherà comunque la disoccupazione?

In questo articolo cercheremo di capire se licenziamento per giusta causa e naspi sono compatibili e, quindi, se possiamo andare in naspi anche se siamo stati licenziati in tronco.

Licenziamento per giusta causa e naspi: cos’è la naspi?

Prima di dare una risposta alle domande che ci siamo appena posti, cerchiamo di capire cos’è la naspi (o indennità di disoccupazione). 

La naspi è un contributo economico che lo Stato riconosce mensilmente a chi ha perso involontariamente il posto di lavoro.

Quindi, se ci dimettiamo volontariamente la disoccupazione non ci spetta.

Anche se ci accordiamo con il nostro capo per risolvere consensualmente il rapporto di lavoro, non abbiamo diritto alla disoccupazione.

In questi casi, allora, è sempre meglio farci consegnare dall’azienda una lettera di licenziamento per motivi economici o per qualsiasi altro motivo.

Solo in questo modo ci garantiamo la possibilità di andare in naspi.

Quando, invece, siamo costretti a dare le dimissioni, ad esempio perché il nostro capo non ci paga lo stipendio da mesi, oppure ci maltratta o ci molesta sul luogo di lavoro (c.d. dimissioni per giusta causa) conserviamo il diritto a ricevere la naspi.

Questo perché la chiusura del rapporto di lavoro non dipende da una nostra libera scelta, ma da una condotta del datore di lavoro.

Non dimentichiamo, inoltre, che la naspi non spetta a tutti i lavoratori.

Ad esempio, non hanno diritto a riceverla i dipendenti pubblici assunti a tempo indeterminato, gli operai agricoli, i lavoratori extracomunitari stagionali, chi ha già maturato i requisiti per andare in pensione e chi riceve l’assegno di invalidità.

La naspi viene corrisposta per un periodo più o meno lungo (fino a 2 anni) a seconda del numero di settimane in cui abbiamo lavorato negli ultimi 4 anni.

Per andare in naspi, però, dobbiamo aver maturato nel periodo preso in considerazione (ultimi 4 anni) almeno 13 settimane di contributi previdenziali.

Non è più necessario, invece, aver lavorato per almeno 30 giorni nell’ultimo anno.

Ricordiamo, infine, che non è così semplice calcolare quanto ci spetta al mese di naspi.

Per il momento ci basti sapere che l’importo mensile dell’indennità di disoccupazione è pari al 75% della media delle retribuzioni che abbiamo percepito negli ultimi 4 anni.

Se abbiamo prestato servizio per un periodo più breve, dobbiamo fare la media delle retribuzioni ricevute in questo periodo.

Licenziamento per giusta causa e naspi: sono compatibili?

Ora che sappiamo quasi tutto su licenziamento per giusta causa e naspi cerchiamo di capire se possiamo andare in disoccupazione anche quando veniamo licenziati in tronco.

A prima vista la risposta sembrerebbe essere negativa.

Come si può pensare, infatti, che lo Stato ci paghi fino a 24 mesi di disoccupazione, quando siamo stati licenziati, ad esempio, perché sorpresi a rubare dalla cassa del supermercato nel quale lavoriamo o perché ci siamo assentati dal lavoro senza alcuna giustificazione per 7 o 8 giorni?

A qualcuno potrà sembrare strano, ma la naspi è dovuta anche se il lavoratore viene licenziato per giusta causa.

Pur se in questi casi è difficile sostenere che la perdita del posto di lavoro non dipenda da una condotta volontaria del dipendente, l’Inps è comunque tenuto a pagargli la disoccupazione.

Questo perché, anche se non si può escludere la responsabilità del lavoratore, il licenziamento viene comunque deciso unilateralmente dal datore di lavoro.

Insomma, il licenziamento in tronco resta pur sempre una scelta fatta autonomamente dall’azienda e non è mai una conseguenza automatica della condotta del dipendente.

Non dimentichiamo, infine, che in questi casi il datore di lavoro deve anche versare il c.d. contributo d’ingresso alla disoccupazione.

Si tratta di una somma che l’azienda deve pagare all’Inps quando l’istituto è obbligato a corrispondere al lavoratore l’indennità di disoccupazione (da 1.470 a 1.809 euro tenuto conto dell’anzianità di servizio di quest’ultimo).

Licenziamento per giusta causa e naspi: le assenze ingiustificate.

Abbiamo detto che anche se un dipendente viola, magari in modo grave, i suoi doveri e, per questo motivo, viene licenziato in tronco, ha diritto alla disoccupazione.

Ne ha diritto per un periodo pari alla metà delle settimane lavorate negli ultimi 4 anni in cui l’azienda ha versato i contributi previdenziali, fino a un massimo di 24 mesi.

Quindi sia che il lavoratore danneggi i beni aziendali o se ne appropri, sia che minacci il datore o lo diffami, se viene licenziato per giusta causa, ha sempre diritto ad ottenere la naspi.

Solo nel caso in cui il dipendente si assenti dal lavoro per un determinato numero di giorni senza fornire alcuna giustificazione, il rapporto di lavoro si considera risolto anche senza licenziamento da parte del datore di lavoro.

In altre parole, il lavoratore si considera dimissionario se non si presenta al lavoro per più di 5 giorni o per un diverso numero di giorni che secondo il contratto collettivo di settore può giustificarne il licenziamento disciplinare.

In questo caso 2 sono le conseguenze.

In primo luogo, il dipendente non potrà andare in naspi, perché la perdita del posto di lavoro non è stata involontaria, ma frutto di una sua libera scelta.

In secondo luogo, il datore di lavoro non dovrà versare il c.d. contributo d’ingresso alla disoccupazione, non avendo licenziato il dipendente.

  1. Art.2119 codice civile.